La conoscenza non basta: ecco come fare per intraprendere il viaggio del cambiamento.

La lettura è capace di darci due tipi di apprendimento: quello cognitivo e quello emotivo.

Dalla lettura possiamo ricavare molte informazioni capaci di modificare la nostra consapevolezza. E questo aspetto aiuta la nostra parte cognitiva (mente moderna) ad arricchire i significati che diamo agli eventi della vita.
Inoltre, spesso avviene che durante una lettura, si producano al nostro interno anche molte emozioni nuove. E questo aspetto aiuta la nostra parte emotiva (mente antica) a creare nuove connessioni con gli eventi della vita.
Tuttavia, esiste una nostra parte esperienziale, quella che Lowen definirebbe come “il corpo” che non viene sollecitata dalla lettura. Perché?

La risposta, a mio avviso, sta nel fatto che noi esseri umani abbiamo necessità di interazione con gli altri per poter mettere in pratica ciò che impariamo: in pratica non esiste un “io” senza un “tu” e questo è ciò che spesso determina un elevata conoscenza ed una scarsa possibilità di applicare questa conoscenza alla nostra vita relazionale.

L’esperienza che osservo spesso nelle mie interazioni con i miei clienti/assistiti è infatti proprio questa: un elevato bagaglio di conoscenze ed un ristretto, o comunque insufficiente, “territorio relazionale” sul quale la persona può serenamente affermare di agire a proprio agio.

Anzi spesso è proprio il dis-agio a rendere il territorio relazionale un territorio di scontro con se stessi e l’altro (o gli altri), anche quando questo altro non è realmente presente.

E allora, cosa fa davvero la differenza?

Sicuramente la massima di Epitteto ci viene in aiuto: “non sono le cose a turbare le persone, ma l’interpretazione che queste danno alle cose“. Che detta così, appare più un rebus che un qualcosa di realmente operativo e utilizzabile ogni giorno.

Infatti, ad esempio, come posso dare “significati profondi” differenti (non interpretazioni superficiali) ad una azione che mi viene proposta dall’altro? Il concetto di significato profondo è a mio avviso molto importante ed è esplicitato da quella situazione nella quale sia ciò che si pensa che ciò che si sente, convergono in modo spontaneo.

Spesso invece, mentre il significato cognitivo (mentale) è capace di esprimere un differente punto di vista su qualcosa di spiacevole, il significato emotivo (emotivo) ne è incapace. E la mancanza di unione tra queste due sfere (mente antica e mente moderna) esclude la possibilità di agire verso un significato profondo nuovo e capace di liberarci dal dolore, così come dal piacere.

Infatti, anche ciò che ci fa stare bene può portarci alla difficoltà e in taluni casi alla distruzione relazionale con noi stessi, gli altri e il mondo. Ed è esperienza comune che “nulla ci asservisce meglio di un piacere del quale non sia nostro alleato“.
Ciò che va quindi tenuto presente è che non si tratta di distinguere tra ciò che ci fa piacere e ciò che ci da dolore, etichettando come buono il primo e cattivo il secondo. Si pensi all’alcolista, al ludopatico, all’affettivo dipendente e ad ogni altra forma di “schiavitù” e a come questa sia iniziata per piacere e non certo per dovere.

Concludendo quindi, il paragone che mi viene di proporre è il seguente: se l’elemento della lettura costituisce un elemento essenziale della nostra esistenza, capace di trasmetterci conoscenza e capace di far evolvere il nostro mondo cognitivo ed emotivo, risulta altrettanto essenziale che ciascuno possa sviluppare l’elemento della scrittura della propria esperienza di vita e possa farlo iniziando dal concedersi la guida di un’altra persona.

Ciascuna persona ha necessità di una guida esperta capace di accompagnarla nelle “scrittura” della storia propria vita e di poterlo fare utilizzando quella narrativa che non si può apprendere sui libri perché presuppone un agire esperienziale.

Noi persone possiamo sperimentare l’unione tra la nostra conoscenza e le nostre emozioni soltanto se siamo disposti ad intraprendere un viaggio interiore, nel quale coinvolgiamo anche il nostro ambiente relazionale. E questo viaggio non può che essere guidato da una persona più esperta di noi, più saggia, capace di portarci là, dove da soli non è possibile andare: oltre la paura. Accompagnandoci in modo strategico, senza sostituirsi a noi, ma standoci accanto – a volte un passo indietro, altre un passo avanti – ed assumendo quella funzione di “porto sicuro” nel quale poter fare rifornimenti, rifocillarsi e riordinare le idee. Un porto sicuro che, pian piano, diviene sempre meno necessario, fino al punto da farci imparare a navigare la vita con sicurezza per tutto il tempo che ci occorre.

Il viaggio della vita – quello che fa evolvere davvero – ha necessità di due cose:
1- la volontà di evolvere davvero, perchè troppo spesso ci aspettiamo che siano gli altri a farlo e parafrasando Socrate la persona che cambiare il proprio mondo relazionale, prima dovrà cambiare se stessa
2- una guida capace di starci accanto per mostrarci di cosa siamo davvero capaci, citando Van Gogh “le persone spesso fanno arte, ma non se ne accorgono


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